Di diritti non si parla mai abbastanza. Non a caso i padovani ieri sera hanno affollato la Sala Rossini del Pedrocchi per il “Dialogo tra scienza e diritti civili” con Marco Cappato, il volto più noto della battaglia per l’eutanasia legale, attivista politico e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni. Un momento di riflessione offerto dal Galileo Festival, promosso dal Comune insieme a ItalyPost e Gruppo Nem. Nella «terra della grande promessa disattesa» – come l’ha definita la moderatrice, nonché giornalista dei quotidiani Nem, Laura Berlinghieri – non si poteva non partire da quel 16 gennaio scorso, quando il Veneto ha perso l’occasione di essere la prima regione italiana ad approvare una legge sul fine vita. Necessaria una premessa: «Una sentenza della Corte costituzionale ha stabilito che il suicidio assistito è legale a certe condizioni: volontà lucida e consapevole, sofferenza insopportabile, patologia irreversibile, l’essere tenuto in vita da un trattamento di sostegno vitale», spiega Cappato, «la verifica delle condizioni la deve fare la Regione, ma qualcuno ha aspettato due anni, solo perché la Regione era contraria. La nostra legge di iniziativa popolare chiede che la verifica delle condizioni della persona si faccia in una ventina di giorni».
Veniamo quindi al Veneto: «Non è stato possibile avere un dibattito sul contenuto della proposta, abbiamo assistito alla solita scena all’italiana», commenta l’ex eurodeputato, «e nonostante il sostegno di Zaia, hanno impallinato la proposta. Il risultato è che non ci sono tempi e procedure certe». Comunque la battaglia continua anche per le persone che non sono dipendenti da un trattamento di sostegno vitale in senso stretto, come i malati terminali di cancro. «Abbiamo ripreso le azioni di disobbedienza civile, organizzando il viaggio all’estero ad altre 5 persone. Il 19 giugno la Corte dovrà decidere se quel criterio vada inteso in senso stretto, e allora dovremo affrontare un processo, oppure se l’Italia potrà essere come la Svizzera». Quella sull’eutanasia è una battaglia che supera i confini politici di destra e sinistra. «Il tema ormai appartiene al vissuto delle persone», ragiona il paladino dei diritti, «la trasversalità di questi temi è evidente». Eppure non c’è una legge: «Quando l’interesse generale non riesce a prevalere su un interesse particolare, significa che c’è un problema di scarso funzionamento della democrazia», osserva Cappato, «attualmente abbiamo dei testi in Parlamento che sono tutti peggiorativi». E punge anche i politici «teoricamente favorevoli»: «Non li ho mai sentiti spendere un’unghia di energia politica a favore di questa battaglia. Ci vuole meno disciplina di partito e più impegno sugli obiettivi, altrimenti la politica diventa una rissa ideologica».
Dato il contenitore – il festival della scienza e innovazione – non poteva mancare una riflessione su come la scienza debba essere al servizio dell’umanità: «È compito dello Stato fornire la conoscenza che mette nelle condizioni di esercitare i diritti e le libertà. Questo il passaggio più importante della connessione tra scienza e i diritti civili». E sull’atavico conflitto tra scienza e religione, dice: «Non credo vada ricercata una mediazione. Anzi se non si è in grado di separare gli ambiti, ci si trova di fronte ai più terribili errori».