Al Galileo Festival confronto sullo stato dell’arte nella digitalizzazione delle imprese. Elio Catania, presidente Confindustria digitale: servono 25 miliardi l’anno per arrivare al pari della media europea. Ma le opportunità non mancano, anche in Veneto. Il dato più clamoroso, quello che meglio di tutti dà la dimensione del gap che in tema di digitalizzazione divide l’Italia dall’Europa, lo fornisce Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale: «Il salto da fare è enorme: la cifra che l’Italia dovrebbe investire per essere al pari della media europea è qualcosa come 25 miliardi di euro all’anno». Lo scandisce, Catania, nella elegante Sala delle Edicole di Padova, durante il dibattito della giornata centrale del Galileo Innovactor’s Festival, il festival dell’innovazione organizzato da VeneziePost e diretto da Massimo Sideri, che ha moderato l’incontro cui hanno preso parte anche Francesco Caio, amministratore delegato di Poste Italiane, e Roberto Loiola, presidente e ad di Alcatel-Lucent Italia. Un ‘digital divide’ dunque, corposo, e che pure non deve spaventare ma spronare a battere con insistenza e convinzione sul tasto dell’innovazione digitale, in un 2015 che mostra segnali di ripresa che possono essere occasioni uniche per questo tassello ineludibile della modernizzazione del sistema economico. Qualche dato veneto, anzitutto, per capire quale sia lo stato dell’arte del processo di digitalizzazione. E’ in partenza la fase due del programma con cui la Regione punta a portare la banda larga in altri 216 Comuni, per avvicinare il Veneto (peraltro ai primi posti in Italia su questo, decisivo, fronte, il che fa capire quanto indietro sia il Paese nel suo complesso) agli obiettivi previsti dall’Agenda digitale. Con il secondo lotto del piano, che include la montagna ma anche aree assai industrializzate (Arzignano, Vicenza, per fare un esempio, terra del distretto della concia) ancora da coprire, l’obiettivo è raggiungere il 98,3% del territorio regionale. Infratel, società del gruppo Invitalia, incaricata di attuare appunto il piano nazionale sulla banda larga, ha predisposto il bando, poi vinto da Telecom, che a sua volta ha così dato il via libera ad un finanziamento pubblico di 13,8 milioni, che raddoppia quello della stessa Telecom, per totali 27,6 milioni di euro. Nelle località interessate di qui 216 Comuni, arriverà la connessione fino a 20 megabit al secondo, con tecnologia broadband. Si prevede l’attivazione di altre 86 mila linee telefoniche entro il 2015. Sei milioni di euro, invece, sono quelli che la Regione metterà sul piatto per i Comuni che si candideranno attraverso un bando atteso a giorni per la banda ultralarga, a 100 megabit. In più ci sono i 2 milioni di euro messi a disposizione per le imprese piccole e medie. Per tassi di adozione delle nuove tecnologie (come ancora vengono chiamate, anche se ormai in realtà sono nuove per chi è rimasto indietro), se come detto il Veneto è tra le prime regioni italiane, nel confronto con l’Europa sconta un ritardo notevole in chiave di diffusione della banda larga ma anche di utilizzo regolare di Internet o di sviluppo dell’E-commerce. A conferma del dato citato da Catania al Galileo festival: ad esempio, se la Regione è settima in Italia per copertura di banda larga tra le famiglie che hanno accesso ad Internet , con il 91,9 di esse che accedono appunto alla Rete “dalla porta principale”, in Europa sconta la diffusione della connettività a macchia di leopardo, che la porta al solo 55% di connettività in banda larga sul totale dei nuclei familiari
presenti in regione. Un 55% che scolora rispetto alla media di Paesi come Lettonia, Estonia, Slovenia, Polonia, Portogallo, e ad un obiettivo fissato dall’Agenda digitale che prevedeva già nel 2013 il raggiungimento del 100% di copertura della banda larga. Già, l’Agenda digitale. Citata da Roberto Loiola nel dibattito al Galileo, giusto per ricordare che fissa al 2020 l’obiettivo di una connettività “casalinga” per tutti i cittadini almeno a 30 megabit, e almeno al 50% di copertura che viaggi a 100 megabit. Numeri da far tremare i polsi, vista la situazione? „No – va in contropelo, l’ad e presidente di Alcatel-Lucent – ci sono opportunità che crescono ogni giorno, grazie al mix di tecnologie che ci dà possibilità di raggiungere gli obiettivi, oggi per esempio si può sfruttare molto il rame per l’ultimo tratto di collegamento, mentre fino a poco fa bisognava arrivare per forza a casa di tutti con la fibra. Certo, ci sono molte resistenze a cambiare, tanto che a volte viene da chiedersi se non si tratti, e parlo anche delle imprese, di semplice incapacità – continua Loiola – ma molti mercati sono già cambiati con il digitale, l’industria della musica è mutata radicalmente, così la prenotazione alberghiera». Che se di cambiamento si tratti, sia soprattutto a livello di governance che esso va cercato, è convinto Francesco Caio, amministratore delegato di Poste Italiane: «Il valore dell’agenda digitale è anche quello di sistema di controllo sullo Stato, per rendicontare come vengono spesi i soldi dei cittadini. Questo e obiettivo più che possibile, come per il processo della fatturazione elettronica. Ma nella governance delle grandi imprese – spiega Caio – non sempre c’è la capacità di gestire il cambiamento nelle leadership, quindi occorre un grande lavoro di cambio culturale, perché se il mercato non innova è finito. E poi servirebbe una diversa struttura del mercato dei capitali, che sappia capire e valorizzare le start-up. A volte c’è frustrazione perché non riusciamo in questi obiettivi anche come singole aziende». Un problema di board, dunque? Di classi dirigenti che devono tornare a fare da guida anche, e soprattutto, nell’apertura al digitale come opportunità? Caio ne è convinto: «Il processo richiede due cose: da una parte un atteggiamento dei Cda teso a fare dell’innovazione un elemento centrale del dibattito; dall’altro all’interno del management la capacità di seguire pochi essenziali progetti e portarli fin infondo per ottenere tutti i vantaggi. In Poste – aggiunge Caio – noi abbiamo fissato tre priorità: la prima è logistica, come soggetto cooperatore a supporto sia della piccola media impresa che dei cittadini nello sviluppo dell’e-commerce; poi i pagamenti digitali; e la terza è il Polo del risparmio, con il quale in prospettiva una percentuale delle masse di risparmio che noi gestiamo possa essere destinata all’innovazione, non investendo noi direttamente, ma contribuendo ad alcuni grandi fondi di innovazione che scaricano il risparmio degli italiani magari sulle iniziative delle start up dei più giovani».
Per Elio Catania, finiti i soldi, occorre farsi venire delle idee. «Il problema è che la politica pensa al digitale in termini di start up mentre dovrebbe pensarci come alle grandi infrastrutture. Al governo dobbiamo chiedere attenzioni su due fronti: specie per la pubblica amministrazione, non si può andare avanti se non con una leadership politica forte, e Renzi e il consiglio dei ministri su questo hanno fatto un lavoro straordinario per alzare l’attenzione su questo tema, ma va detto che non ha fatto altrettanto nella fase attuativa – sferza Catania – Però ci sono critiche da fare anche per
alle imprese private: in Italia sono pochi gli imprenditori che capiscono che il digitale è la loro priorità, e che se non lo si inserisce nel consiglio di amministrazione, si perde il treno. Molti capitani d’impresa mi dicono che quello del digitale è un problema tecnico, io rispondo che non lo è, se è vero che l’84% delle imprese fallite l’anno scorso non aveva un sito Web».
di Giovanni Salvatori
da Monitor