di Paolo Gubitta, Cult di VeneziePost | 23 aprile 2016
L’immateriale ha invaso il materiale. E il materiale vale sempre meno se lo svuotiamo (o se non lo riempiamo) di immateriale. La prima grande novità dell’epoca contemporanea è che il valore dell’immaterialeè sempre più visibile, palpabile e percepibile in molte cose che ci circondano, che usiamo e che indossiamo. Impossibile farne senza (dell’immateriale, intendo). L’Università e le imprese sono i luoghi, le fucine in cui l’immateriale si inventa, si genera e si applica per generare valore. La prima senza le seconde rischia di essere autoreferenziale. Le seconde senza la prima rischiano di arenarsi nelle secche dei risultati di breve periodo, per mancanza di forza propulsiva.
È per queste ragioni che il trasferimento tecnologico è essenziale. La progettazione di un efficiente modello per collegare questi sub-sistemi è la sfida più critica che anche il nostro Paese sta affrontando per rimettere in moto l’economia e dare nuove opportunità al lavoro.
Gli esempi sono innumerevoli e sotto gli occhi di tutti. Ci sono i robot collaborativi che entrano in relazione con gli umani e rendono le nostre fabbriche più performanti ed efficienti. Ci sono gli elettrodomestici intelligenti che migliorano la qualità della nostra vita e che si possono monitorare e gestire con lo smartphone. Ci sono gli sci che a fine discesa ci dicono come abbiamo sciato e ci suggeriscono cosa dovremmo fare per migliorare e rendere più appagante il nostro tempo libero. È il fantastico mondo dell’Internet delle cose.
Ci sono i chirurghi che possono operare maneggiando un joystick per azionare robot che tagliano, intervengono e cuciono, permettendoci di ripensare il sistema sanitario ottimizzando l’allocazione delle (sempre scarse) risorse. Ci sono le nanoparticelle così smart da capire dove, quando, perché e in quale quantità rilasciare un farmaco nel nostro corpo con una flessibilità sbalorditiva, e così rendono più efficaci le cure delle malattie più aggressive e complicate.
E, ancora, ci sono le alghe che purificano l’acqua, aiutandoci di risolvere i tanti problemi ambientali che uno sviluppo un po’ troppo alla garibaldina ha creato in modo diventato insostenibile e socialmente inaccettabile.
Ma ci sono anche i capannoni che hanno poco da invidiare alle opere architettoniche (e non hanno nulla in comune con gli anonimi cubi prefabbricati che avevano invaso il nostro territorio), trasformando in luoghi ameni anche le aree industriali fino a ieri considerate sinonimo di paesaggi orridi.
Il trasferimento tecnologico assume sempre più le sembianze di trasferimento di conoscenza in senso lato, offrendo l’occasione di far diventare valore economico anche l’immateriale di natura estetica e comunicativa.
La seconda grande novità dell’epoca contemporanea è che la società nel suo complesso è diventata fonte di immateriale.
Lo sviluppo tecnologico, e in particolare i progressi della digitalizzazione, ha abilitato milioni di persone alla generazione di risorse immateriali (sociali, politiche, estetiche). La crescita inarrestabile della sharing economy distribuisce l’immateriale in ogni dove.
È per queste ragioni che nella progettazione delle azioni di trasferimento tecnologico e di conoscenza bisogna sforzarsi di connettere tutti questi produttori di immateriale per farli convergere verso chi, imprese e istituzioni pubbliche, ha i mezzi per trasformarlo in valore. Il rapporto tra Università e territorio diventa un anello essenziale per rendere sostenibile nel tempo il processo di trasferimento.
L’ultima grande novità dell’epoca contemporanea è che l’immateriale cambia in modo irreversibile il lavoro, perché per creare valore avremo sempre più bisogno di persone in grado di utilizzare macchine, simboli e codici contemporaneamente.
È per queste ragioni che accanto alle politiche per il trasferimento di tecnologia e di conoscenza servono anche azioni per la condivisione della tecnologia e della conoscenza. Questi interventi sono centrati sulle persone e si sostanziano in nuove e coraggiose strategie per supportare l’inserimento dei giovani lavoratori verso le imprese e la società.
Se non lo facciamo, rischiamo di mettere il carro davanti ai buoi. Non faremo alcun passo in avanti. E non ce lo possiamo permettere.